EBREI A ROMA: ASILI INFANTILI DALL’UNITA’ ALLE LEGGI RAZZIALI

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In un libro di Giovanna Alatri, insegnante e collaboratrice del Museo della Scuola e dell’Educazione “Mauro Laeng” dell’Università degli Studi Roma Tre, edito da Fefè Editore con la prefazione del Rabbino Riccardo Di Segni e l’introduzione di Paolo Mieli, viene ripercorsa la vicenda delle istituzioni scolastiche israelitiche nella Capitale dedicate alla prima infanzia.
Un viaggio che intreccia urbanistica, storia, educazione in un percorso che parte dal 1870 e si sviluppa fino ai giorni nostri.
Istruzione, integrazione, necessità assistenziali e formazione religiosa: sono questi gli aspetti che caratterizzano gli Asili israelitici di Roma, la cui storia accompagna la riorganizzazione degli ebrei romani dopo il passaggio al Regno di Italia.
Così scrive il Rabbino Riccardo Di Segni nella Prefazione del libro: “L’arrivo del regio esercito sabaudo a Roma, nel settembre 1870, segnò, per gli ebrei di Roma, l’emancipazione da tempo desiderata….Una ricerca, quella di Giovanna Alatri, che racconta una storia di famiglia che si intreccia con la storia della comunità di Roma e della Roma diventata capitale d’Italia”.
La città che fa da sfondo alla vita della Comunità ebraica e degli Asili è quella di Pio IX, al secolo Cardinal Giovanni Maria Mastai Ferretti, che salì al soglio pontificio nel 1846 e che si rese protagonista del caso Mortara, che rappresentò “il più grave incidente tra la chiesa di Roma e la comunità ebraica”, come sottolinea Paolo Mieli nella Introduzione, mettendo tuttavia anche in evidenza le opportunità che in quel periodo “si presentarono per gli ebrei per conquistare spazi fino a poco prima impensabili”, come successe appunto per gli Asili.
Gli Asili nascono dalla fusione della Pia Associazione Ez Haim (Albero della vita) per le bambine ebree e del Pio Istituto Talmud Torà (Studio della Legge) per i maschi. La confluenza delle due strutture, sorte per accogliere i bambini poveri ma che sotto l’illuminata presidenza di Tranquillo Ascarelli tra i 1861 e il 1864 cominciarono a svolgere un’attività più specificatamente didattica, diede vita, nel 1874, all’Opera Pia degli Asili Israelitici di Roma.
Nel 1875, alla prima manifestazione ufficiale degli Asili, Giacomo Alatri (1833-1889) allora Vice Presidente della nuova istituzione, si rallegrò per il “comune cooperare dello Stato e della Città per la prosperità dell’istituto stesso”. Figlio di Samuele Tranquillo Abramo Alatri (1805-1889) che guidò la comunità ebraica romana per circa sessant’anni, Giacomo Alatri divenne Presidente dell’Opera nel 1876 e si dedicò a migliorare i tanti aspetti degli Asili, a cominciare da quello didattico-educativo, senza trascurare quello igienico-sanitario, logistico, dell’alimentazione e dell’accoglienza dei fanciulli e delle fanciulle. Curò l’introduzione di banchi di nuovo modello, disegnati dall’Ing. Vittore Ravà, Ispettore Capo della Società degli Asili “costruendoli per due posti, per lasciare al fanciullo sufficiente libertà di isolarlo, senza impedire di aiutare il compagno”, assegnò ad ogni allievo il proprio cassetto e si prodigò per trovare spazi idonei ad ospitare la scuola.
Dai locali di una casa in via Rua n. 143 al Ghetto, gli Asili si trasferirono provvisoriamente in via di Monte Savello n. 15, quindi in affitto in alcuni locali dell’ex convento annesso alla chiesa di Sant’Agata a Trastevere, per poi traslocare al numero 19 di quella che un tempo si chiamava piazza Italia e, infine, nell’edificio costruito su progetto dell’architetto Giovanni Battista Milani e inaugurato il 26 gennaio 1913 sul Lungotevere Sanzio, dove si trovano ancora oggi.
Il racconto avvincente della storia degli Asili israelitici capitolini corre in parallelo a quello delle condizioni di vita degli ebrei nel Ghetto della Capitale e si intreccia con alcune tappe fondamentali dei percorsi di istruzione nazionale, che vanno dall’introduzione del sistema educativo messo a punto dal pedagogista tedesco Friedrich Froebel (1782-1852) alla nascita delle case dei bambini create da Maria Montessori a partire dal 1907.
Gli Asili, dopo il tragico periodo in cui furono emanati i Decreti legati alle Leggi Razziali del 1938, durante il quale alunni e docenti furono estromessi dagli istituti statali e comunali, proseguono la loro attività ai giorni nostri come scuola paritaria del sistema scolastico italiano.
Per informazioni: Fefè Editore / 06.3201420 e 338.3733845 / fefe.editore@tiscali.it / www.fefeeditore.com

Come si difende un albero?

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COME SI DIFENDE UN ALBERO? E’ questo il titolo di un interessante articolo pubblicato sul sito di Atlantis, di Mauro Zanichelli, una società specializzata in servizi professionali per la potatura e la manutenzione degli alberi attraverso tecniche di tree climbing, nel quale si trattano alcuni aspetti importanti che riguardano la vita degli alberi.
In particolare l’articolo cita il processo, detto di compartimentazione, individuato da un famoso studioso americano attorno agli anni ’70, Alex Shigo, scomparso nel 2006, che ha segnato una svolta fondamentale nel mondo dell’arboricoltura. Il suo nome, e le sue scoperte, dovrebbero essere note a chiunque si occupi di alberi.
La teoria legata al suo nome si chiama CODIT, acronimo che sta per Compartimentalization Of Decay In Tree e illustra come l’albero isola la carie.
Shigo, dopo aver passato la sua  vita a studiare gli alberi e a osservare funghi e insetti, ha illustrato come, a fronte di una lesione dei suoi tessuti, l’albero attivi 4 tipi diversi di barriere: le prime tre sono costituite da aggregati chimici già depositati nel legno e oppongono un ostacolo meccanico alla propagazione dell’infezione rallentando l’avanzata del marciume in senso longitudinale (su e giù per il fusto), in senso radiale (verso il centro del fusto) ed in senso tangenziale (cioè lateralmente attorno al fusto). La barriera numero 4, definita come un “prodigio dell’albero”, è rappresentata da un tessuto nuovo, in grado di bloccare l’avanzata dei patogeni, che si forma sullo strato più esterno del legno vivo.
In questo modo il legno nuovo provvede a separare la lesione dal legno del fusto prodotto fino a quel momento e tutto ciò che l’albero produrrà da quel momento in poi è isolato dall’infezione ed è salvo: le generazioni di legno futuro non potranno essere aggredite dal patogeno.
Nella pratica un albero sano scatena una gara per difendersi dai suoi nemici: si assiste cioè a una progressiva crescita di legno sano verso l’esterno, che fornirà sostegno meccanico e funzionalità biologica all’albero. Al contrario un albero deperito o stressato oppone barriere deboli e si ingrossa poco. Questa condizione di debolezza si riscontra spesso negli alberi in ambiente urbano a causa dei danni che incessantemente subiscono (tra cui anche inutili o errate operazioni di potatura) e di conseguenza la loro capacità di reazione alle lesioni è fortemente rallentata.
Un altro importante e interessante aspetto che viene messo in evidenza è quello dei rami che si spezzano per fratture (legate ad esempio a eventi meteorici) o come conseguenza di errati tagli di potatura. In questi casi, se la parte di ramo superstite ha sufficienti riserve energetiche, tenterà di ripristinare il fogliame perduto e nel frattempo si attiveranno le barriere per arginare l’inevitabile penetrazione dei patogeni dalla ferita, se invece le riserve saranno insufficienti l’albero predisporrà l’abbandono del ramo: mentre il moncone muore e si secca, nel punto in cui si inserisce nel ramo, nella branca o nel fusto da cui deriva, si attiva un meccanismo che isolerà i tessuti sani dall’ambiente esterno creando il cosiddetto collare di compartimentazione, una perfetta barriera contro la penetrazione di agenti esterni, da salvaguardare in ogni caso per non esporre i tessuti sani dell’albero all’aggressione dei patogeni.
Connesso a questo argomento vi è quello che riguarda le “Problematiche strutturali e stabilità degli alberi” trattato in un documento di sintesi curato dal Corpo Forestale dello Stato e dal Centro Nazionale per lo Studio e la Conservazione della Biodiversità Forestale “Bosco Fontana” – UTB di Verona per conto della SIA-Società Italiana di Arboricoltura, nel quale si parla delle cause dei cedimenti strutturali, dell’analisi strumentale per conseguire i profili di densità del fusto (dove è possibile individuare la presenza di vuoti o di cavità), dello studio delle chiome e degli apparati radicali, della valutazione della stabilità degli alberi (Visual Tree Assessment), procedura riconosciuta a livello internazione per accertare lo stato di salute degli alberi, di classi di propensione al cedimento (categorie di rischio fitostatico), in base alle quali vengono stabiliti gli interventi da effettuare (colturali e di abbattimento).

Adriano Olivetti: una figura da ricordare e non solo…

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L’11 aprile del 1901 nasceva Adriano Olivetti, uno dei più grandi e più innovativi imprenditori italiani che fu un simbolo della rinascita del Paese nel secondo dopoguerra.

I 120 anni dalla nascita di Adriano Olivetti meriterebbero qualcosa di più concreto delle celebrazioni
Chi era Adriano Olivetti
L’eredità di Adriano e il Novecento che non abbiamo avuto di Giuseppe Lupo, il Sole 24ore, 10 aprile 2021
ACCADDE OGGI – Olivetti, l’imprenditore visionario nasceva 120 anni fa

 

 

Cecità botanica e giardini in movimento

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I risultati di un’indagine svolta verso la fine degli anni ’80 del secolo scorso nelle scuole americane sulla differenza di interesse mostrata dagli studenti rispetto al mondo animale e al mondo vegetale, hanno portato due studiosi americani, J.H.Wandersee e E.E. Schussler, a coniare per questa nostra tipica tendenza a non considerare le piante, quasi come fossero invisibili (a differenza, invece, della nostra percezione riguardo al mondo animale) il termine “plant blindness” (traducibile come “cecità botanica”) definita come: “the inability to see or notice tha plants in one’s own enviroment, leading to: a) the inability to recognize the importance of plants in the biosphere, and in human affairs; b) the inability to appreciate the aesthetic and unique biological features of the life forms belonging to the Plant Kingdom; and c) the misguided, anthropocentric ranking to the erroneus conclusion that they are unworthy of human consideration[1].
Questa tendenza si mostra in maniera molto evidente nei confronti delle specie selvatiche e spontane, soprattutto in ambito urbano, dove sono sovente indicate in modo dispregiativo con il termine “erbacce” e considerate elemento di degrado e di disordine…Tale atteggiamento impedisce di apprezzarne i numerosi aspetti positivi. Esse sono infatti rustiche e resistenti, elemento essenziale di ricchezza e biodiversità, hanno bellissimi fiori e sono anche specie alimentari, officinali, tintorie e utili per gli insetti anche impollinatori (ogni specie vegetale in natura è adatta ad attirare e nutrire gli insetti. Ma dato che spesso questo rapporto di simbiosi è specie specifico, le diverse specie di piante attirano di preferenza specie diverse di insetti).
Con le specie selvatiche si creano prati fioriti a bassa manutenzione, perché non richiedono concimazioni o uso di fitofarmaci, hanno bisogno di un ridotto numero di sfalci e un minore utilizzo di irrigazione.
Gilles Clément (1943), docente presso l’École Nationale Supérieure de Paysage di Versailles e scrittore, ha influenzato con le proprie teorie e con le proprie realizzazioni (tra queste il Parc André-Citroën e il Musée du quai Branly, entrambi a Parigi) un’intera generazione di paesaggisti. Nel suo libro, IL GIARDINO IN MOVIMENTO, rivoluziona l’idea classica di giardino, ponendo l’attenzione sulla “friche”, ovvero l’incolto. Inizia così una lunga ricerca sui suoli incolti collocati ai margini delle strade, nelle zone abbandonate o dismesse, dove la natura si riappropria dello spazio costruito in degrado. Gilles Clément classifica questi residui come “Terzo paesaggio” e rivoluziona il nostro modo di pensare il giardino tradizionale, lasciando che esso viva senza grande intervento umano. In questo modo non modifica soltanto l’idea di pensare il giardino ma la concezione di estetica dello stesso.

[1] Wandersee e Schussler 1998.

Legge 10/2013 e politiche del verde pubblico urbano: relazione annuale 2019

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Ai sensi della legge 10/2013 “Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani” il Comitato per lo Sviluppo del Verde Pubblico istituito presso il Ministero dell’Ambiente ha presentato alle Camere la Relazione annuale 2019 che contiene elementi finalizzati a fare un bilancio dello stato di attuazione della legge stessa e delle politiche riguardanti il verde pubblico.
La Relazione evidenzia innanzitutto la necessità di un’operazione di “codificazione” della normativa vigente in tema di verde pubblico e di alberi, specie con riferimento agli spazi urbani,che favorisca una visione unitaria e integrata di un fenomeno complesso e interdisciplinare.
Si auspica pertanto il passaggio da una normativa settoriale a un sistema regolatorio che affronti il tema dello sviluppo e della tutela del verde pubblico in maniera congiunta con tutto ciò che vi ruota intorno (salute, efficienza energetica e risparmio, standard urbanistici e governo del territorio, bellezza e paesaggio, storia e identità, turismo, PIL e altro) e che sappia cogliere la sfida lanciata con la Direttiva Europea 2014/95/UE (recepita con d.lgs. n. 254/2016) che ha reso le informazioni di carattere non finanziario obbligatorie a partire dai bilanci al 31 Dicembre 2017, a conferma del fatto che gli investitori richiedendo l’integrazione dei fattori ambientali e sociali, i cosiddetti elementi ESG – environmental, social and governance – nelle analisi dei rischi e delle prospettive future dei business.
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IL GIARDINIERE PROFESSIONISTA

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È datata 6 Luglio 2016 la legge che vieta, di fatto, a chiunque di intervenire sul verde, sia in case private che in aree del settore della pubblica amministrazione, se non in possesso di una formazione professionale adeguata.
Si tratta della Legge 154 del 2016 “Deleghe al Governo e ulteriori disposizioni in materia di semplificazione, razionalizzazione e competitivita’ dei settori agricolo e agroalimentare, nonche’ sanzioni in materia di pesca illegale” che, al punto b dell’art.12Esercizio dell’attività di manutenzione del verde”  dispone che l’attività di costruzione, sistemazione e manutenzione del verde pubblico o privato affidata a terzi può essere esercitata “da imprese agricole, artigiane, industriali o in forma cooperativa, iscritte al registro delle imprese, che abbiano conseguito un attestato di idoneità che accerti il possesso di adeguate competenze.”
Le Forze dell’Ordine, come ad esempio Carabinieri e Guardia di Finanza, potranno richiedere la regolare iscrizione all’Albo Giardinieri professionisti, a tutti i giardinieri trovati ad esercitare la professione sia in ambienti pubblici che in ambienti privati.
La normativa ha creato un grande dibattito dimostrando quanto sia difficile poter regolamentare il settore tant’è che, purtroppo, sono ancora troppi i giardinieri improvvisati e le aziende di giardinaggio non adeguate che non sono in grado di comprendere tutti gli aspetti, naturalistici, agronomici, storici, paesaggistici che il patrimonio del verde pubblico presenta.
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La carta dei giardini storici

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Risale al 1971 il primo convegno organizzato a Fontainebleau dal Comitato internazionale dei giardini e siti storici costituito dall’ICOMOS-IFLA.
Riuniti a Firenze il 21 maggio 1981, l’ICOMOS (il Consiglio internazionale dei monumenti e dei siti, associazione professionale fondata nel 1965 a Varsavia a seguito della Carta di Venezia del 1964 e che offre consulenza all’UNESCO per la conservazione e la protezione dei luoghi del patrimonio culturale in tutto il mondo) e l’ IFLA, arrivarono all’approvazione di una “Carta dei Giardini Storici”, detta appunto Carta di Firenze, che ebbe il merito di definire i giardini storici con il riconoscimento della loro natura monumentale, superando quella di semplice contorno di edifici monumentali.
La carta è stata registrata il 15 dicembre 1982 dall’ ICOMOS con l’intento di completare la “Carta di Venezia” in questo particolare ambito.

I giardini tascabili

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giardini tascabili (pocket parks) sono una tipologia di giardini pubblici che hanno come caratteristica fondamentale quella di non essere stati previsti o pianificati nel progetto originale di un disegno urbano, ma di essere stati creati successivamente sulla base dell’iniziativa di liberi cittadini, o come risultato di una scelta e di una ricognizione dell’amministrazione pubblica.
I giardini tascabili vengono realizzati all’interno di un contesto urbano già dato, andando ad occupare lotti vacanti inedificati, lotti di edifici demoliti o spazi abbandonati.
Nati a New York nel 1964 con lo scopo di riqualificare spazi abbandonati nel quartiere di Harlem, si intervenne reintegrando spazi verdi al fine di creare luoghi d’incontro per gente di tutte le età, dagli spazi per i più piccoli, ai veri e propri luoghi per adulti, provvisti di panchine, tavoli, il tutto immerso tra alberi e piante, in netto contrasto con il grigiore urbano.
A Londra, l’ex sindaco Boris Johnson, ha lanciato un piano per la realizzazione di 100 Pocket Parks all’interno del programma London’s Great Outdoors, il quale prevedeva di migliorare piazze, strade e tutti gli spazi pubblici esterni, compresi alcuni argini del Tamigi.
Pochet parks: piccoli spazi urbani e microidentità “Le politiche di pocket parks come strumenti di rigenerazione della città pubblica”, Caterina Montipò
Pocket parks: le piccole oasi urbane da coltivare
Pockhet parks-Landezine

Il Regolamento del verde pubblico e del paesaggio urbano di Roma Capitale

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Il 12 gennaio 2021 la Giunta capitolina ha approvato un testo del Regolamento del verde pubblico e privato e del paesaggio urbano di Roma Capitale alla cui predisposizione hanno partecipato molte Associazioni che si occupano di tutela ambientale, oltre agli Ordini professionali, tra i quali il Collegio degli Agrotecnici laureati, con il coordinamento di Giorgio Osti.
Una prima stesura del Regolamento era stata approvata in Giunta il 17 gennaio 2019 con una proposta a firma della Assessora Montanari, a cui è seguita l’attuale versione curata dall’ Assessora Fiorini.
E’ stato un lavoro molto lungo (circa 9 anni) con più riunioni della Commissione capitolina Ambiente, numerosi emendamenti e integrazioni, che ha visto il passaggio in tutti i Municipi e che ora deve approdare in Assemblea capitolina (probabilmente dopo l’approvazione del Bilancio cioè a febbraio 2021).
I risultato di questo lavoro rappresenta un momento importante perché definisce principi, regole e comportamenti su molti aspetti fondamentali che riguardano il verde urbano di Roma e la sua gestione, che comprende 1800 aree verdi su una superficie di 40 milioni di mq (una superficie cioè equivalente alla città di Bergamo).
Il Regolamento si compone di 5 capitoli principali e di 16 allegati.

Italiani di razza ebraica

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A ottanta anni dalla promulgazione delle Leggi razziste nel Museo Ebraico di Roma è stata allestita la mostra “Italiani di razza ebraica: le Leggi antisemite del 1938 e gli ebrei di Roma” a cura di Lia Toaff e Yael Calò (14 settembre 2018-3 febbraio 2019).
La Mostra racconta, attraverso documenti originali della collezione del Museo e dati in prestito dalle tante famiglie colpite dai provvedimenti discriminatori, le vicende, le umiliazioni, le restrizioni e le persecuzioni fisiche subite, lungo un percorso storico che parte dal periodo dell’Emancipazione degli ebrei che entrano a far parte della vita politica e sociale del Regno d’Italia, passando per gli anni delle Leggi antiebraiche e per terminare con il periodo di occupazione, clandestinità e deportazione.
Tra i documenti esposti anche quelli della famiglia Alatri.
CATALOGO MOSTRA_ ITALIANI DI RAZZA EBRAICA 2018-2019