Le piante tintorie

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Le piante tintorie sono le essenze che possiedono, nelle foglie, nei fiori, nella corteccia e nelle radici, particolari pigmenti in grado di essere utilizzati per tingere tessuti, pellami, capelli e che permettono moltissime applicazioni nei settori alimentare, cosmetico, dei  filati, per la fabbricazione di candele di cera colorate, per la colorazione di oli essenziali e altri distillati.
Il loro utilizzo fin dai tempi arcaici è testimoniato dal ritrovamento di indumenti colorati e di tracce di tintura di robbia tra le rovine della civiltà della valle dell’Indo risalente al 3500 a.C. e in alcuni documenti scritti ritrovati in Cina e datati 2600 a.C.
Le piante in grado di fornire coloranti naturali sono diffuse ovunque sul pianeta e comprendono oltre 1000 specie presenti intutti gli Ordini e in numerose famiglie botaniche (Vetter et al., 1999) e presentano caratteristiche botaniche, biologiche e areali diversi tra loro (Cardon, 2007). Tra le numerose specie in grado di fornire coloranti vegetali ve ne sono alcune, che più di altre, presentano una buona adattabilità ad un ampio range di condizioni climatiche, elevate potenzialità produttive ed un più facile inserimento nei tradizionali ordinamenti culturali (Angelini 2008; Vetter et al., 1999).
Tra le specie di importanza storica per le quali in passato furono avviate vere e proprie filiere produttive, si possono citare l’indigofera (Indigofera tinctoria L.),  la persicaria dei tintori [Persicaria tinctoria (Ait.) Spach] e il guado (Isatis tinctoria L.) per il blu- indaco, la reseda (Reseda luteola L.), la ginestra dei tintori (Genista tinctoria L.), il cartamo (Carthamus tinctorium L.), la camomilla dei tintori (Anthemis tictoria L.), lo zafferano (Crocus sativus L.) e la curcuma (Curcuma longa L.) per il colore giallo, la robbia (Rubia tinctorum L.) in grado di fornire il rosso.
Numerose piante officinali sono anche piante tintorie come la Daphne gnidium (nomi volgari Dittinella, Gnidio, Erba corsa) per il colore senape, l’Helichrysum italicum (Elicriso) per il giallo paglierino, la Punica granatum (Melograno) per i colori dal giallo arancio al nero.
Attualmente, i coloranti naturali vengono applicati in attività produttive di limitato impatto economico e in attività dimostrative e educativo-didattiche. Le applicazioni rivolte all’attività industriale sono poche, ma alcune aziende che, fino a qualche anno fa, fornivano unicamente servizi di tintura con prodotti sintetici, hanno preso in considerazione la possibilità di tingere con colori naturali dedicando una parte della loro produzione a questo aspetto.
A Lamoli di Borgo Pace, nelle Marche, ha sede il Museo dei Colori Naturali, che propone ai visitatori un erbario, reperti archeologici, strumenti per l’estrazione dei pigmenti colorati, ma anche coltivazioni sperimentali di piante tintorie.

Le piante tintorie, Università degli Studi Mediterranea di Reggio CalabriaInsegnamento Biologia Vegetale, Fabio Sergi
Le piante officinali e i loro colori

Il giardino sostenibile: il sacrificio dell’estetica a favore dell’ecologia!

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 L’Associazione Italiana Professionisti del Verde, che riunisce persone e aziende che si occupano professionalmente della realizzazione e cura del verde ornamentale e del paesaggio sia pubblico che privato, in un recente intervento sulla rivista ACER Il Verde Editoriale, evidenzia alcuni concetti riguardanti il giardino sostenibile, di cui soprattutto le amministrazioni pubbliche dovrebbero tenere conto nel momento in cui si accingono a gestire, direttamente o attraverso Associazioni di cittadini, giardini e aree verdi.
Innanzitutto l’AIVP ci ricorda che “il giardino non è una entità completamente sotto il controllo umano” ma bensì “una mediazione tra uomo e natura e una entità in continua evoluzione”. Il “Giardiniere sostenibile diviene il custode di questo microcosmo verde, che include la natura del terreno, la sua esposizione, le piante spontanee presenti, i micro e macro-organismi, le piante messa a dimora”.
Ne consegue che un bravo giardiniere persegue gli obiettivi di sopstenibilità attraverso:
-il risparmio delle risorse idriche già nella fase di progettazione, al fine di renderlo idoneo a trattenere le precipitazioni, limitando le pavimentazioni impermeabili;
-sciegliendo piante adatte al micro clima locale, all’esposizione, alle disponibilità idrice;
rispettando e accogliendo le forma di vita del giardino quali insetti, farfalle, uccelli;
-proteggendo la struttura del terreno e riutilizzando gli scarti vegetali proveniente dal giardino stesso per favorire l’apporto di sostanza organica;
-tutelando la biodiversità, non sacrificando l’estetica all’ecologia e accettando anche un certo disordine e informalità come parte dell’equilibrio del giardino;
-riducendo le pulizie autunnali che lasciano il giardino scoperto e il terreno semivuoto e favorendo l’impianto e il mantenimento di prati fioriti, in grado di ospitare altre forme di vita.

Olivetti a Città del Messico

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Lo straordinario progetto di espansione industriale avviato dalla società Olivetti in America Latina è stato il tema della mostra “Olivetti Makes” allestita al Palacio de Bellas Artes di Città del Messico dall’11 ottobre 2018 al 13 gennaio 2019. Si tratta del racconto del progetto di espansione industriale avviato dalla società nel 1949, che ha prodotto alcuni formidabili esempi di architetture industriali. Infatti, da semplice avamposto per la vendita “porta a porta” di macchine per scrivere importate dall’Italia, l’azienda si ristruttura e così la Olivetti Mexicana SA si amplia gradualmente diventando, negli anni Sessanta, l’officina per il montaggio e la fabbricazione di esemplari Made in Mexico.
Nascono fabbriche, magazzini, linee per il montaggio, ma soprattutto grafica, pubblicità e macchine per scrivere portatili rivoluzionarie come quelle più note e oggi simboli internazionali del design italiano. Si tratta della Lettera 22 di Marcello Nizzoli e Giuseppe Beccio e la Valentine di Ettore Sottsass. Per questo motivo nella mostra sono presenti anche i progetti delle fabbriche nell’area di Città del Messico. È il caso di quello in Colonia Industrial Vallejo firmato dall’architetto Felix Candela e inaugurato nel 1965 e quello a Cuautitlan dell’architetto Ricardo Legorreta, rimasto purtroppo solo su carta ma restituito al pubblico attraverso i disegni.
Nel percorso della mostra, curato da Pier Paolo Peruccio, docente del Politecnico di Torino sono esposte la MP1, la Lettera 22, la Summa 15, la Valentine, la Divisumma 24, la calcolatrice ET Personal 510. E poi ancora la Lettera 32, la Programma 101, la Studio 45 e la Divisumma 18, fino a quelle più economiche. É il caso della Olivetti Dora o la Lettera 31 (portatile disegnata da Ettore Sottsass nel 1989) prodotte in grande numero per una diffusione capillare tra le famiglie e nelle scuole proprio in America Latina. Olivetti Makes prende in esame anche il ruolo della Olivetti in  Argentina e in Brasile, dove si producono macchine da calcolo e macchine per scrivere professionali.
Sono inoltre indagati gli aspetti sociali del mondo del lavoro, lo studio di prodotti ad alto contenuto tecnologico, quello dei sistemi di grafica. Ma anche la comunicazione del brand Olivetti, la progettazione degli ambienti di lavoro, residenze e fabbriche. Una sezione è infine dedicata al ruolo della Olivetti in occasione dei XIX Giochi Olimpici di Città del Messico nel 1968, in occasione dei quali vennero allestiti due centri stampa ciascuno studiato nel dettaglio dalla Olivetti, dall’arredamento dei locali ai sistemi di comunicazione e trasmissione al fine di agevolare il lavoro dei giornalisti.
Oivetti in Messico. Ovvero la qualità come sistema
A Città del Messico si racconta l’Olivetti in America Latina
Olivetti Makes, storia di design, industria e società
www.olivettiani.org
La copia 105

Columella “Ricetta per fare la giuncata”

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Columella, L’arte dell’agricoltura
Ricetta per fare la giuncata. “Farai la giuncata in questo modo: prendi un’olla nuova e facci un buco vicino al fondo; poi tura il buco che hai fatto con un legnetto e riempi il vaso con il latte di pecora freschissimo, e aggiungivi dei mazzetti di erbe odorose, origano, menta, cipolla, coriandolo. Metti nel latte queste erbe, in modo che i fili che legano i mazzetti sporgano fuori. Dopo cinque giorni togli il legnetto con cui hai otturato il buco e lascia uscire il siero. Appena comincerà a uscire il latte, richiudi il buco con lo stesso legnetto e, lasciati passare tre giorni, fa uscire di nuovo il siero, nel modo che si è detto sopra; togli anche e getta via i mazzetti di erbe odorose; poi spolverizza sopra il latte un pochino di timo secco e di maggiorana secca e aggiungivi quanto porro da taglio vuoi; dopo due giorni lascia di nuovo uscire il siero, richiudi il buco e aggiungi tanto sale pestato quanto sarà sufficiente, rimescola e, messo il coperchio, chiudilo con la cera e non aprire il vaso che quando ce ne sarà bisogno”.

La moglie del Ménagier

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Vita nel Medioevo, Eileen Power

“La parte dedicata alla cucina, che contiene le istruzioni per “nutrire la parte corporale”, è la più lunga del libro……ciò che colpisce il lettore moderno è la lunghezza e la complessità degli enormi festini, con le loro diverse portate e piatti, e la ricchezza delle vivande fortemente drogate. Ci sono soppressate e salsicce, cacciagione e carne di manzo, anguille e aringhe, pesci d’acqua dolce, pesci di mare di sagoma piatta e di sagoma rotonda, zuppe comuni non drogate, zuppe drogate, zuppe di carne e zuppe senza carne, arrosti, pasticci e contorni, una quantità di salse cotte e crude, zuppe e brodini per ammalati…..Le salse piccanti di aceto, agresto e vino godevano del massimo favore, e chiodi di garofano, cannella, galanga, pepe e zenzero compaiono inaspettatamente nei piatti di carne….Da buon francese il Ménagier incude le ricette per cucinare rane e lumache….Il libro di cucina termina con una sezione che contiene le ricette per fare ciò che il Ménagier chiama “quelle piccole cose che non sono necessarie”. Ci sono diversi generi di marmellate, per lo più fatte col miele: nel Medioevo, evidentemente, questo era un modo comune di preparare la verdura, perchè il Ménagier parla di marmellata di rape, carote e di zucche. C’è un delizioso sciroppo di spezie miste e una polvere di pepe, cinnamono, garofano, cardamomo e zucchero che si doveva spargere sul cibo così come oggi si sparge lo zucchero; c’è una ricetta per il vino cotto, per i “guaffers” o wafers, e per gli aranci canditi. Vi sono molti giudiziosi consigli sui cibi adatti alle diverse stagioni e sui modi migliori di cucinarli e di servirli. Le più divertenti fra tutte sono alcune ricette di natura non culinaria: ricette per fare l’inchiostro blu o quello indelebile, per allevare gli uccelletti negli aviari o nelle gabbie, per preparare la sabbia per le clessidre che misurano l’ora, per fare l’acqua di rose, per seccare le rose da mettere fra i vestiti (come noi oggi mettiamo la lavanda), per curare il mal di denti e per curare il morso di un cane rabbioso”.

Amalia Moretti Foggia, il dottor Amal e Petronilla

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Amalia Moretti Foggia, classe 1872, due lauree (una in Scienze Naturali conseguita nel 1895 presso l’Università di Padova e una in medicina, presa nel 1898 all’Università di Bologna), una specializzazione in pediatria a Firenze (divenne la prima donna in Italia a conseguire questa specializzazione) descrive sè stessa come “la medichessa che in un’epoca in cui nessun bravo borghese si sarebbe fatto curare da una donna, ha dovuto fingersi uomo per essere credibile”. Scrive e pubblica libri e articoli su temi nel campo della medicina, dell’igiene della persona e della salute con lo pseudonimo di Dottor Amal, mentre si occupa di cucina con lo pseudonimo di Petronilla.
Protagonista di rubriche di grande successo, Tra i fornelli in cui dispensava ricette alle massaie piccolo borghesi, La massaia scrupolosa, attraverso la quale impartiva abili consigli di economia domestica, Una mamma e La parola del medico, nella quale forniva consigli di puericoltura e informazioni sulla corretta igiene alimentare, sulla pulizia del corpo e sul corretto uso delle piante alimentari e medicinali, nel 1941 pubblica Ricette di Petronilla per tempi eccezionali nel quale una decina di signore di diversa origine geografica chiacchierano, sferruzzano e, muovendo dalle loro esperienze, si scambiano suggerimenti su come metter su il pranzo con la cena, utilizzando e riutilizzando quel poco che c’è, dando vita a varie sezioni che recitano fra parentesi: “Senza riso. Senza pasta”, “Un minimo di pasta”, “Con minimo o niente grassi”, “Con niente o pochissimo zucchero”. Con Desinaretti per… questi tempi, uscito nel 1944, affronta la necessità di cucinare in un clima di ristrettezze dovute alla guerra, suggerendo come preparare un pranzo in presenza di scarsità di ingredienti: “Ecco qua il modo di preparare un buon desinaretto quando, dal tesseramento, vi verranno concessi i fagioli secchi, o se, durante l’estate, ne avete seccati voi stesse”.
Amalia Moretti Foggia esercitò la sua professione prima a Firenze e poi a Milano come medico fiscale presso la Società operaia femminile di Mutuo Soccorso fino al 1902 quando fu assunta presso l’ambulatorio della Poliambulanza di Porta Venezia.
Petronilla “L’arte di cucinare con quello che c’è!”
Le voci di Petronilla

Villa Borghese: ieri, oggi…e domani?

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Troppo spesso si dimentica di considerare Villa Borghese, ottanta ettari di verde nel cuore di Roma, come un bene culturale, sul quale insistono imprescindibili vincoli di tutela, a partire dal 1912 con la legge n. 688 del 23 giugno che, innovando la legge Rosadi-Nava del 24 giugno 1909, n. 364 sulle antichità e belle arti, allargava la tutela alle “ville, ai parchi e ai giardini che abbiano interesse storico o artistico” e alla quale ha fatto seguito la declaratoria del D.M. 17 novembre 1973 prot. n. 17591 ai sensi della L. 1089/39, con riconoscimento di importante interesse storico artistico della Soprintendenza ai Monumenti del Lazio e, infine, il Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42: “Codice dei beni culturali e del paesaggio” che, all’ art. 10 comma 4 lettera f , include tra i beni culturali tutelati ” le ville, i parchi e i giardini che abbiano interesse artistico o storico”.
La sua storia, dai primi anni dell’800, quando apparteneva alla Famiglia Borghese, fino alla vigilia della guerra nel 1936, viene ricostruita con dovizia di particolari e di documentazione storica da Massimo de Vico Fallani nella “Storia dei Giardini Pubblici di Roma nell’Ottocento”.
La Villa, allora, era aperta al pubblico quattro giorni alla settimana e, talvolta, per esposizioni e fiere autorizzate dal principe Borghese. E’ del 12 luglio 1903 la pubblicazione del bando con la notizia dell’acquisizione della Villa (per 3 milioni di lire) da parte dell’amministrazione di Roma: “Per volontà del Parlamento e del Governo del Re, la Villa Borghese è passata in piena proprietà del Popolo di Roma, e dedicata alla memoria di Umberto I”.
Uno dei primi e principali responsabili dei lavori di giardinaggio della Villa fu Nicodemo Severi, direttore del Servizio Giardini e autore del giardino di Piazza Cavour e della passeggiata Archeologica che va da Porta Capena a piazza Numa Pompilio che, fin dal 1904, venne incaricato di un piano di  generale di riordinamento, che pubblicò sulla Rivista da lui fondata “La Villa e il Giardino”. Il Piano scatenò alcune critiche, come quelle mosse da Aristide Sartorio nel 1909, in occasione dello spiantamento dei lecci nella zona dal museo di Parco dei Daini al nuovo accesso ai Parioli “..Non racconterò come la villa sia stata potata con l’istesso sistema del bosco ceduo, non racconterò lo strazio dei lecci sul viale verso il museo, ma, sibbene, come proprio in questi giorni tutto il boschetto dei gelsi a ridosso del Seminario tedesco sia stato letteralmente atterrato. Perchè? Perchè la distruzione delle piante è un metodo del giardinaggio romano contemporaneo, e la direzione dei giardini pare un’azienda per il taglio forestale”.
In occasione dell’Esposizione Universale di Roma del 1911, al limite nord-occidentale della villa, iniziarono i lavori dei giardini davanti al Nuovo Palazzo delle Belle Arti (ora Galleria Nazionale d’Arte Moderna) a Valle Giulia, progettati da Cesare Bazzani unitamente al Palazzo. La sistemazione dei due giardini all’italiana e delle due rampe iniziò nel 1914 e durò fino alla fine del 1916. I lavori comprendevano, oltre alle piantumazioni di alberi, anche movimenti di terra, la costruzione dei contrafforti in scogliera di tufo e la realizzazione della balaustra classica intorno ai giardini. Nell’ambito della sistemazione della scalinata vennero realizzate le due FONTANE DELLE TARTARUGHE e nel 1924 venne completato il muro di sostegno tra i giardini e il confine di Villa Borghese. Le sistemazioni a verde consistevano nella disposizione di filari di lecci intorno alle rampe e nella sistemazione a prato delle scarpate fra i tornanti con pini, sofore pendule e cespugli di alloro. Le siepi geometrizzate dei due giardini pensili erano di bosso nano che si dovette reperire all’estero. In totale per i lavori occorsero 350 allori, 6.500 piante di bosso, 50.000 piantine di bosso nano, 25 grandi lecci, 50 Sophora japonica pendula, 5 quintali di calce viva, 20 mc. di pozzolana, 2.000 mattoni zoccoli.
Con il passaggio di proprietà e con la possibilità di utilizzare la Villa da parte della cittadinanza si assistette ad un dilagare di fenomeni di vandalismo, che presero alla sprovvista “le autorità municipali e di pubblica sicurezza”. Il comportamento dei cittadini divenne uno dei primi motivi di degrado e depauperamento della Villa, insieme ai lavori per adeguarla alle nuove esigenze (adeguamento degli impianti di irrigazione, fognari, recinzioni, muri di confine, viali di collegamento con la città, realizzazione di nuove strutture, a cominciare dal Giardino zoologico) e alle numerose concessioni (come l’affitto dei prati che venivano recintati e coltivati a fieno).
Nel 1914 appare un articolo su La Tribuna del 27 giugno dal titolo “La distruzione sistematica di Villa Borghese” nel quale si mette in evidenza come sia “una convinzione radicata dei nostri amministratori che si debba sempre concedere la villa Umberto I! Oggi questa splendida villa del settecento è già irriconoscibile da quindici anni orsono…”.
Nel 1922 è Severi che, nell’articolo apparso su Il Piccolo del 24 giugno 1922, protesta contro il degrado:”...è appunto contro gli sterri, gli steccati, le concessioni a comitati di benficienza e a società sportive d’ogni genere che io avevo levato la voce….Nessuna Amministrazione Comunale mai, in nessun periodo della storia edilizia della città, era giunta a concedere così facilmente l’uso della villa a scopi privati…”.
Massimo de Vico Fallani osserva inoltre che tutti i lavori eseguiti in quegli anni raramente riguardavano la conservazione della vegetazione, sovente sacrificata per far posto a nuove realizzazioni come ad esempio l’Istituto Internazionale di Agricoltura a scapito di “una bella, fresca e verde pineta”.
Nel secondo dopoguerra furono realizzati restauri e nuove edificazioni che si sono susseguiti nel corso del tempo, tra cui quelli che nel 2004 sono stati realizzati per il restauro delle FONTANE DELLE TARTARUGHE poste su la Scalea intitolata nel 2002 a Bruno Zevi, fino ad arrivare agli interventi che interessano oggi diverse aree della Villa (Riqualificazione ambientale e vegetazionale ville storiche – Villa Borghese e Giardino del Lago di Villa Borghese per un importo complessivo di € 2.333.108,20).
La gestione è affidata alle competenze dell’Ufficio “Servizio Giardini” Villa Borghese che si occupa del verde, degli arredi e dei manufatti e, per quanto riguarda il patrimonio monumentale, le mostre e gli eventi, alle competenze di numerosi Uffici della Sovrintentenza Capitolina ai Beni culturali. A queste si aggiungono quelle relative alla gestione e alla manutenzione della rete stradale, degli impianti idrici e fognari, degli impianti di illuminazione pubblica, delle concessioni commerciali, della rete di trasporto pubblico, degli eventi e delle manifestazioni pubbliche, degli impianti sportivi.
Da molte parti si invoca l’istituzione di un soggetto unico, dotato di figure professionali specifiche, sia in ambito botanico, fitopatologico e agronomico, sia di tipo storico-artistico, archeologico e paesaggistico, in grado di predisporre un piano complessivo di gestione che, partendo da una approfondita conoscenza e analisi del patrimonio ambientale e monumentale della Villa ne definisca, attraverso l’dentificazione di ambiti omogenei, sia gli interventi di manutenzione e restauro che i progetti di valorizzazione e riqualificazione, nel rispetto delle caratteristiche peculiari presenti.
In particolare, appare necessario utilizzare metodologie di approccio ispirate agli indirizzi dettati a livello mondiale per la classificazione, la cura e la valorizzazione dei beni culturali e naturali, a cominciare da quelli della Commissione per i siti UNESCO, utilizzati ad esempio per il sito seriale costituito dalla serie di 14 ville e giardini della famiglia Medici ubicati in Toscana in occasione della propria candidatura come sito UNESCO (Piano di gestione).
Fonti bibliografiche
Storia dei Giardini Pubblici di Roma nell’Ottocento, Massimo de Vico Fallani
Roma, Newton Compton, 1992
I giardini come beni del patrimonio culturale: storia di una legge e questioni interpretative

 


Verde storico: come difenderne identità e valore

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Il Manuale del volontario giardiniere, pubblicato a cura di ReGiS-Rete dei Giardini Storici con finalità educativa, offre l’occasione per portare (o riportare) l’attenzione sul verde storico, componenente fondamentale e di pregio del verde pubblico e privato di molte città italiane.
La premessa del Manuale è la Carta di Firenze, Carta italiana dei Giardini storici del 1981, la quale definisce il giardino storico come “una composizione architettonica e vegetale che dal punto di vista storico o artistico presenta un interesse pubblico. Come tale è considerato un monumento“.
Un giardino è infatti “un’opera polifunzionale e polimaterica” con una ricchezza di significati, culturali, architettonici, botanici, agronomici, estetici, sociali, ecologici, la cui conservazione è assai delicata, sia per la loro complessità che per la precarietà dei materiali di cui è composto, sottoposti all’usura, alle malattie, alle intemperie.
Esso richiede continui interventi, che devono però essere inseriti in un piano di gestione a medio e lungo termine, che tenga conto della sua duplice natura: da una parte esso si presenta infatti come un sistema in continua evoluzione, dall’altra come un bene monumentale e culturale che deve essere salvaguardato.
L’evoluzione nel tempo dei titoli di proprietà, il passaggio di molti di questi siti agli enti pubblici e il conseguente uso collettivo, hanno determinato un loro utilizzo come aree a verde pubblico, senza tenere in giusta considerazione le caratteristiche tipologiche storiche di questi impianti. In molti casi i giardini storici sono infatti gestiti in maniera poco coerente con il loro specifico significato, senza rispettarne ed evidenziarne il valore intrinseco.
L’introduzione di elementi di arredo in materiali moderni, l’apertura spontanea di nuovi sentieri dovuta all’affluenza di visitatori sempre maggiore, l’utilizzo delle aree a prato per attività sportive spontanee, l’inserimento di strutture di servizio (parcheggi, bar, servizi igienici, ..) sono solo alcune delle problematiche che affliggono i giardini storici, legate alla loro fruizione come aree pubbliche.
Occorre invece considerare il giardino nella sua complessità, verificando che le nuove funzioni alle quali essi sono chiamati ad adempiere risultino compatibili con l’impianto storico, architettonico e paesistico, al fine di evitare la perdita di identità di questi luoghi di pregio.

Nomi da ricordare per chi ama i giardini, il verde pubblico e il paesaggio

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Carlo Tenerani (Roma 1845 – 1911 post), Maria Teresa Shephard Parpagliolo (1903-1974), Luigi Heydrich e Alfredo Kelbling (morto nel 1888), Augusto Houssaille (morto nel 1886).
Sono alcuni dei nomi da ricordare per chi ama i giardini, il verde pubblico e il paesaggio e che hanno lasciato una loro impronta anche nella città di Roma.
Alfredo Kelbling fu il primo Direttore dei Giardini di Roma nominato per concorso (22 giugno 1887). La Commissione, alla quale pervengono tredici candidature, ritenne che Kelbling possedesse quei requisiti necessari per condurre l’ufficio di direttore di giardini: non solo una cultura generale ma anche quella specifica tecnica pratica, un’età non troppo inoltrata e valenti titoli scientifici. Kelbling era nato in Prussia, aveva appreso l’arte del giardinaggio frequentando il Reale Istituto di San-Souci a Posdam e aveva esercitato la pratica nella Regia Intendenza dei giardini di corte di Sua Maestà l’Imperatore di Germania e successivamente presso i giardini di Krupp. A Roma fu il Direttore dei Giardini di Villa Barberini Sciarra. A lui si deve il progetto di sistemazione del Giardino di Piazza Vittorio Emanuele II (terminato, dopo la sua morte improvvisa, da Carlo Palice, nuovo Direttore del Servizio Giardini e inaugurato l’8 luglio 1888) dove, al centro, viene realizzata una serie di vialetti che si sviluppano collegando i ruderi del Ninfeo di Alessandro (noti come i Trofei di Mario), il laghetto con la fontana, la Porta Magica (Porta Alchemica di Villa Palombara ricostruita all’interno dei giardini su un vecchio muro perimetrale della Chiesa di Santo Eusebio) e le tante essenze esotiche e rare che popolano il giardino. La Piazza del giardino (progettata da Gaetano Koch come previsto nel Primo Piano Regolatore di Roma del 1873 e inaugurata il 19 giugno 1882) viene trasformata in un “fresco giardino verde e fiorito” con “piante di ogni genere, aiuole, alberi e fiori”. Vennero piantati 170 alberi tra cui conifere, palme e Dasylirion, ninfee e altre piante acquatiche nella fontana, rose e caprifogli che si arrampicavano sui manufatti.
Luigi Heydrich, napoletano, è il “florista comunale” a cui l’Amministrazione di Acireale affidò la realizzazione (1875-1876) dell’arredo di Piazza Ruggero Settimo, “Villetta Lionardo Vigo”. L’intervento rappresentò il primo approccio verso una politica del verde che un anno dopo portò alla realizzazione di un giardino ben più ampio e importante (15.000 metri quadri) quale è Villa Belvedere, il Parco Pubblico intitolato a Vittorio Emanuele III. Heydrich dimostrò di essere “molto istruito non solo sulla conoscenza delle piante addette a giardinaggio e alla loro coltura ma benanche in quella della loro disposizione e al buon risaltamento dell’insieme nella parte ornativa”. La sistemazione di Villetta Vigo denota l’intento di creare due aree differenti, la prima che costituisse il proscenio da cui ammirare la seconda. Differenziò pertanto gli alberi messi a dimora, ponendo quelli a minore sviluppo, i ligustri (Ligustrum japonicum) nell’unità più prossima alla piazza e il falso pepe (Schinus molle) nella seconda. Il suo nome lo ritroviamo a Roma in qualità di giardiniere capo quando, tra il novembre 1887 e il maggio 1888, vengono realizzate in amministrazione diretta dal Comune, in base al progetto di Kelbling, le opere del giardino di Piazza Vittorio Emanuele II.
Nella Commissione che seleziona e affida l’incarico di Direttore del Servizio giardini di Roma a Kelbling c’è anche Carlo Tenerani, figlio dello scultore Pietro Tenerani. Oltre che architetto Ingegnere, assessore al Comune di Roma, presidente della Società Orticola Romana e, dal 1906, presidente dell’Accademia di San Luca, Tenerani è stato anche fotografo dilettante iscritto all’Associazione Amatori di Fotografia di Roma dal 1890 (presso l’Archivio Fotografico del Museo di Roma si conservano due sue vedute firmate di via Nazionale, dove era situato il palazzo di famiglia). A lui si deve il disegno della cancellata che circonda il Giardino di Piazza Vittorio Emanuele II, approvato il 4 giugno 1888 dalla Giunta Municipale.
Maria Teresa Parpagliolo rappresenta una figura di spicco nel mondo legato alla progettazione dei giardini e al paesaggio della prima metà del Novecento. Nata a Roma, compie la sua formazione in Inghilterra presso lo studio dell’architetto paesaggista Percy Stephen Cane, svolgendo poi un’attività didattica presso la Scuola Giardinieri di Roma dal 1932 al 1937. Nel 1939 collabora con gli architetti Raffaele De Vico e Pietro Porcinai all’organizzazione dell’intero sistema di parchi e giardini della nuova zona di Roma (EUR) destinata ad ospitare l’Esposizione Universale del 1942. Dal 1940 al 1942 riveste la carica di capo dell’Ufficio Parchi e Giardini della Capitale e diviene negli anni Settanta protagonista insieme a Pietro Porcinai del progetto per la fondazione di una scuola per l’Architettura del Paesaggio.
Augusto Houssaille, francese, fu per dodici anni il capo giardiniere del Pincio a Villa Borghese che, allora, era il principale se non l’unico giardino pubblico di Roma. Portata a compimento tra il 1811 e il 1823, la Passeggiata del Pincio fu ceduta in proprietà al Municipio nel 1848. Dal 1853 la cura dei giardini fu affidata al servizio pubblico municipale, il cui direttore, Luigi Vescovali, si avvalse dell’esperienza del giardiniere e vivaista savoiardo Francesco Vachez, che, tra il 1861 e il 1866, mise mano a una radicale trasformazione della Passeggiata, disegnando un nuovo assetto dei viali e del giardino in stile “inglese”, eliminando l’ippodromo disegnato da Berthault sul lato verso Villa Borghese e introducendo nuovi vialetti curvilinei tra aiuole irregolari.

Fonti bibliografiche
-Quad. Bot. Ambientale Appl., 3, 1992
Piano di Gestione del giardino di Piazza Vittorio Emanuele II, a cura del Comitato Piazza Vittorio Partecipa, 2017
-Storia dei giardini pubblici di Roma nell’Ottocento, Massimo de Vico Fallani, 1992

Calma, serenità e benessere con il Forest Bathing e la Forest Therapy

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“Gli effetti benefici sulla salute che derivano dall’esposizione agli ambienti forestali sono noti da decenni, tanto che in alcuni paesi la terapia forestale ha un ruolo riconosciuto nella prevenzione medica, con risultati in termini psico-fisiologici confermati da una crescente produzione scientifica”. Così viene introdotto il libro realizzato da CNR e CAI in collaborazione con il CERFIT, il Centro Regionale di Riferimento in Fitoterapia presso l’ospedale Careggi a Firenze, che presenta le conoscenze acquisite in questo campo in tre decenni di ricerca scientifica.
“Le pratiche di Forest Bathing e di Forest Therapy sono modi per immergere i nostri sensi nell’atmosfera della foresta per ottenere relax ed effetti positivi per la salute e il benessere”. Così spiega il Forest Therapy Institute (FTI) che organizza attività di formazione di guide certificate, con corsi specializzati per professionisti ai quali vengono fornite competenze per realizzare Passeggiate di Forest Bathing, Programmi di turismo eco-wellness,Workshop e ritiri di Connessione con la Natura, Programmi di riduzione dello stress basati sulla Natura e altre iniziative.
Lo Shinrin-Yoku (Bagno nella foresta) nasce in Giappone nel 1982 come parte di un programma sanitario nazionale per affrontare i disturbi legati allo stress e proteggere le foreste.​ Si tratta di un particolare metodo della medicina naturale basato sul principio che trascorrere del tempo immersi tra gli alberi di una foresta porta innumerevoli benefici fisici e psicologici. Gli studi giapponesi mostrano come esso possa essere praticato anche in città, anche se i maggiori effettivi positivi si hanno lontano dalle aree urbanizzate e in presenza di boschi costituiti da almeno una di queste specie: faggio, leccio, quercia.

Il National Geographic riporta 5 destinazioni dove praticare il Forest bathing (Adirondacks Mountains, New York, Costa Rica, Nuova Zelanda, Hawaii, Kenya).
Anche in Italia troviamo esperienze interessanti come ad esempio presso l’Oasi di Zegna, in Piemonte e all’interno di una splendida faggeta di Fai della Paganella in Trentino.
Del valore di questa pratica ne parla l’esperto Marco Mencagli, dottore agronomo e autore insieme a Marco Nieri del libro La terapia segreta degli alberi, nell’articolo “Le evidenze sull’efficacia degli spazi verdi nel miglioramento delle nostre difese immunitarie”, pubblicato sul numero 1/2021 di ARBOR, la  Rivista della Società Italiana di Arboricoltura.
Terapia della natura e il bagno nella foresta
Come praticare il bagno nella foresta
CAI Il libro della terapia forestale